LA VERITA’ SUL GENERE UMANO – Introduzione

La prima di una serie di interviste rilasciate al canale Youtube ATRI ONLINE – Liberamente informati che qui ringrazio pubblicamente per il loro interesse ai miei studi e alle mie pubblicazioni.
Buona visione e… alla prossima! 🙏✨
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Il mistero delle origini

Realizzazione grafica di Giulia Giammona, (c) Drakon edizioni, 2010 – su licenza del British Museum.

Mistero, dal greco mystèrion, “cosa segreta”, ma anche dal greco mysticòs, “qualcosa che è stata avvolta nel segreto”, è il sostantivo con cui viene definita gran parte dei fatti della storia umana.

Ma il fatto, quel fatto, in principio, quando vide la luce, quindi “originariamente”, quasi certamente non era ammantato col velo dell’occulto, ma è diventato “misterioso” con lo scorrere del tempo. Perché?

La Storia fortunatamente di questo ce ne ha lasciato ampie prove; è stato modificato, manipolato o falsamente presentato in virtù della necessità di condizionare e gestire situazioni e soggetti per i più disparati fini.

L’antidoto al condizionamento è sulla strada maestra della ricerca delle origini, quelle origini lontane che si raggiungono solo conducendo una rigorosa ed impegnativa opera di eliminazione delle impurità che ne hanno corrotto il significato antico.

L’antidoto è la Conoscenza.

Il fatto qui di seguito trattato riguarda il mistero delle origini, intendendo più in particolare quelle del genere umano.

All’ ipotesi creazionista, propugnata e tenacemente difesa dalle religioni, che per un lungo arco di tempo ha avuto dominio incontrastato sulle menti e sulle coscienze degli uomini, l’‘800 illuminista contrappone l’ipotesi evoluzionista, non senza lacerazioni e questioni scientifiche irrisolte. Il ‘900, in modo particolare nella sua seconda metà, ci ha infine fatto assaporare l’ipotesi forse più affascinante, l’ipotesi che ha saputo coniugare in modo imprevedibile le due ipotesi fino ad allora assolutamente inconciliabili, come da sempre sono fede e scienza. L’acquisita capacità di tradurre le tavolette sumere da parte di sumerologi come Kramer, Jacobsen, ecc., ci hanno fatto scoprire un mondo nuovo, anzi antico, dove personaggi incredibili operavano come super-uomini, dotati di capacità straordinarie di mezzi e di conoscenze, in grado di trasformare la storia ed incidere profondamente nella vita dell’uomo.  Delle divinità, converranno in molti ancora oggi, nel tentativo di darne una definizione appropriata commisurata alla loro capacità e potenza. Oppure potremmo parlare, e oggi si tende a parlarne in maniera quasi esclusiva, di “alieni”, poiché la tecnologia da loro usata, che oggi sappiamo riconoscere, non può che appartenere ad altri mondi
intra-stellari più evoluti, non alla nostra Terra.

Ma le cose stanno davvero così?
È solo questa l’unica possibilità che possiamo percorrere per conoscere le nostre origini?

La preistoria e la storia sono piene di immagini, di reperti, di monumenti che potremmo definire “alieni” sia nel senso di estraneità al contesto a cui si riferiscono che in quello di appartenenza ad una civiltà non terrestre; ce ne sono di evidenti ed altri che lo sono meno. In alcuni casi ciò che è “alieno” risulta invece invisibile, non riscontrabile ad una occhiata superficiale.

Caso emblematico, ma ovviamente non unico, è l’affresco del peccato originale ad opera del grande Michelangelo. Le figure che insieme danno vita al noto episodio biblico del peccato originale, ci regalano, ad una analisi più approfondita, una lettura diversa da quella strettamente canonica. A chi riesce a trovare una nuova chiave di lettura, Michelangelo trasferisce la propria conoscenza ed il proprio pensiero più nascosto.

La figura del serpente, tra le altre, è quella che desta maggiore curiosità per la sua evidente ambiguità.

Così come nel dipinto il serpente pone dubbi alle interpretazioni, anche nel nostro lontano passato e nel corso della storia, il serpente ha mutato pelle e ancor di più ha mutato la sua valenza rappresentativa. Da icona della conoscenza, del benessere fisico e spirituale, diventa, in particolare per opera della dottrina cattolica, simbolo del male e della tentazione.

Ma la ricerca rigorosa, costantemente verificata, ci permette di avere un quadro completamente nuovo ed impensabile proprio su questa figura tanto vituperata. Gli studi condotti attraverso la filologia e la etimologia prossima e remota, ci permettono di comprendere in maniera sorprendente i lasciti testimoniali del popolo sumero. Popolo, questo, mai studiato con la necessaria consapevolezza di trovarsi di fronte alla fonte primaria delle nostre conoscenze scritte. Gli scritti sumerici, senza bisogno di forzature nelle traduzioni, già di per sé straordinariamente eloquenti, sono fonte ineguagliabile a cui attingere per avere “notizie di prima mano” su quello che è stata la vera storia dell’uomo.

La figura del serpente, pertanto, dopo i necessari approfondimenti, vediamo che si intreccia con la storia primeva dell’uomo, e in particolare della donna, scandendo inesorabilmente la sua emancipazione rispetto al suo stato ignoranza e di totale asservimento.

La rivelazione più straordinaria la troviamo quando la figura del serpente si sovrappone alla figura dell’angelo assumendo lo stesso significato letterale, allorquando l’etimologia remota ci permette di risalire ai significati antichi custoditi nelle scritture sumere e ci consente di constatarne la comune origine. Se dunque gli Igigi, divinità minori nel pantheon sumero rispetto ai superiori Anunnaki, coincidono con la figura degli angeli e del serpente, allora tutto diventa chiaro e incredibile al tempo stesso.
Sono queste le figure che hanno sorvegliato il cammino controllato dell’uomo diventandone “custodi” e, nel momento in cui alcuni di essi hanno disatteso tale supremo comando, accelerandone l’evoluzione, sono diventati “i serpenti tentatori” riconducibili, tra l’altro, agli “angeli caduti”.

Ma se non ci fermiamo ad analizzare solo queste figure e prendiamo in esame anche gli Anunnaki, le figure di rango superiore, abbiamo il quadro completo delle conoscenze che ci rimandano i sumeri. E le traduzioni letterali ci portano a considerare queste ultime divinità come “della terra”, di origine terrestre, quindi.

Il decidere di non fermarsi davanti alle evidenze superficiali, ma scavare in ogni direzione di ricerca, conduce inevitabilmente a raffinare le nostre conoscenze, a mettere in discussione anche affermazioni già accettate e apparentemente indiscutibili.

In tutti gli ambiti di studio, e in particolar in questo così delicato, poiché coinvolge così profondamente il nostro comune sentire, avere materiale su cui impostare nuove discussioni e nuovi ragionamenti non potrà che essere di vantaggio per tutti. Il contributo alla conoscenza, quindi, allarga la possibilità di comprensione a tutti gli uomini di buona volontà, e tanto maggiore è la nostra conoscenza tanto minore sarà la possibilità di essere vittime di ogni sorta di manipolazione.

© Biagio Russo

 

 

 

 

 

Il retaggio perduto delle antiche razze

La nostra non è la prima umanità che popola questo verde e fertile pianeta che è la Terra e probabilmente non sarà neppure l’ultima.
Prima di noi si sono succedute civiltà di cui anche il più pallido ricordo è andato perduto.
Con il tempo, questo potrà accadere anche alla nostra, tuttavia un legame, per quanto labile, continuerà a tenerci tutti uniti.
Le tradizioni legate all’antica religione sostengono che: «Una sola è la razza degli Dei e degli uomini, e da un solo principio ambedue sono scaturite».

Gli Dei, dunque, ci sono affini e così gli Antichi, a tal punto che è in pratica impossibile separare loro da noi, gli uni dagli altri.

A ciascuna razza succedutasi sulla Terra è stato dato un tempo per dominare il pianeta, ossia per conoscere, fino a spingersi su di un piano evolutivo più avanzato.
Poi, una volta raggiunti sviluppo e saggezza sufficienti, le è stato consentito di approdare a un livello di realtà più raffinato, lasciando libero il campo per una umanità nuova, meno evoluta, ma a sua volta pronta per iniziare il proprio cammino di consapevolezza.

Non siamo in grado di conoscere da quante razze siamo stati preceduti, sappiamo soltanto che alcune di esse erano non e pre-umane.
La tradizione parla dei Tuatha de Damnu, dei Tuatha de Danaan e della razza che oggi chiamiamo genericamente degli elementali, cui appartengono elfi e fate.

Il livello dei mondi, delle nuove realtà, cui queste antiche razze sono arrivate, non ci è noto, ma è certamente superiore al nostro attuale.
Sono luoghi di bellezza, magia, mistero, dove regnano colori gioiosi e brillanti.

Qui la vita scorre serena e ogni cosa, anche gli eventi più normali, avviene su di un piano superiore.

Attenzione!  Ciò non esclude la morte che continua a esserci, semplicemente a essa non sono più collegati tristi pensieri, ma il concetto di un momento intermedio nel percorso che conduce al cambio di esistenza, durante il quale, secondo un processo naturale, coscienza e memoria si interrompono.

Tutte le arti e le scienze, l’amore, e persino fare l’amore, risultano più coinvolgenti e affascinanti in queste realtà lontane di quanto lo siano nel nostro mondo.

Il passaggio, la transizione a una diversa realtà è reso possibile dalla magia della mente: chi sa attuarla diventa incorporeo, invisibile e, di conseguenza, svanisce alla percezione terrena. Tornare è certamente possibile, ma è impresa suprema.

Questo metodo di sublime magia si dice appartenga al patrimonio di pochi, vale a dire dei più alti iniziati.

Il percorso per innescare questi passaggi deve essere, ciò malgrado, oggetto di ricerca e costituire motivo di approfondimento, poiché coinvolge gli aspetti più intimi della realtà dell’anima.

È un argomento che non può essere trascritto né trattato con la scrittura, perché lontanissimo dall’essere accettato come mezzo perseguibile dalla normalità delle persone.

Chi intenda intraprendere questo cammino deve accostarsi allo studio del mondo incantato degli elementali, poiché non è solo il più vicino al nostro, ma quello a proposito del quale possediamo ancora alcune conoscenze.

I migliori canali per innescare il contatto sono i raggi lunari, una foresta, una palude silenziosa, la nebbia, la luce di candele e falò, insomma tutte quelle realtà che stanno sul limitare, sulla soglia «fra i mondi».
Stessa chiave posseggono miti e leggende, mentre la pratica delle formule magiche è in grado di modificare corpo e mente per realizzare il passaggio.

Ed Fitch

Il “lascito” di Schiavi degli Dei

Sono passati dieci anni e più dall’uscita del mio primo libro Schiavi degli Dei, pubblicato da Drakon edizioni, e il tempo ormai passato mi permette di guardare con un certo distacco ciò che quel momento ha rappresentato per me.

In questa occasione non farò una disamina di tutto quello che ho intuito attraverso la rigida disciplina che si chiama “indagine etimologica”, ma desidero portarvi all’interno della mia avventura di vita, per rendervi partecipi delle emozioni e delle riflessioni che tale esperienza mi ha riservato.

È stata indubbiamente una pietra miliare fissata nel mio andare, capace di delimitare un “passato” ed un “presente” nel mio pensiero, ciò in cui ho “creduto” prima e ciò che sento “appartenermi” adesso, profondamente.

Il lavoro di costruzione del libro è stato un procedere, prima incerto, quasi sofferto, e poi man mano sempre più convinto, sui frantumi delle mie convinzioni cedute sotto il peso degli innumerevoli dubbi emersi dalla lettura di tanta saggistica sui misteri dell’antichità. Pagine e ipotesi, di cui mi ero nutrito fino a quel momento, chiedevano ormai di essere verificate e cercate altre risposte oltre quell’unica, invariabile “soluzione” diffusa: la creazione e la civiltà dell’uomo sono il risultato di un esperimento extraterrestre.

Arduo e temerario era voler cambiare direzione e avanzare in una strada che già sapevo poco frequentata. Ce l’avrei fatta da solo?

Certo, da solo, perché intorno a me non trovavo chi, con i miei stessi interessi, volesse condividere le mie perplessità. Al contrario, alcune interpretazioni sembravano blindate, quasi dei dogmi a cui tutti, appassionati di quel segmento letterario e addetti ai lavori, si rifacevano passivamente e non sembravano disposti a valutare nient’altro.

Ho compreso quanto lavoro mi attendesse.

La fatica nel reperire strumenti autorevoli e originali, poi, ha messo a dura prova la mia determinazione nel proseguire e nell’andare fino in fondo.

L’aiuto, spesso inatteso e provvidenziale, mi è stato dato con grande generosità quasi esclusivamente da donne: nelle biblioteche, nelle librerie, nelle associazioni, nei musei, nelle università, anche di oltre frontiera. Potrei allungare ancora di molto l’elenco, ma mi fermo qui. Tale casualità assumeva, però, poco a poco i contorni di una prevedibilità: come non domandarsi, ad un certo punto, se tanta disponibilità, tutta femminile, potesse avere un senso più profondo, che andasse più in là dell’aiuto dato per una pura e semplice ricerca storica, condotta oltretutto al di fuori degli schemi convenzionali.

Nell’esaminare i soggetti del peccato originale nell’Antico Testamento penso di aver trovato le mie prime risposte.

Lo studio meticoloso richiesto dall’analisi della figura del “serpente” mi ha rivelato, in primis, quanto fosse distorta l’immagine che ne è arrivata fino a noi. La sua icona, che in tutte le antiche culture è portatrice e simbolo di conoscenza, è stata, ad un certo punto della storia, sovrapposta al male estremo. Una acuta riflessione, quasi una frustata, mi ha spinto allora a chiedermi: il problema è dunque la conoscenza?

Sappiamo che la prima figura disponibile ad accoglierla nella storia dell’umanità, nonostante i divieti, è stata la nostra progenitrice Eva. Lei si lascia convincere che sia cosa buona e vede oltre il velo dell’apparenza. Insieme al suo Adamo apre gli occhi e il cuore a tutto quel panorama nuovo e inimmaginabile che le si squaderna davanti; si sentono nudi e si vergognano della loro condizione non appena diventano consapevoli della loro ignoranza.

Tracciare i contorni di Eva e risalire al suo senso più antico è stato quasi commovente. Ha significato, per me, ridarle voce. Per millenni la nostra cultura ha rigettato l’importanza della donna e l’equilibrio dato dal suo valore accudente e intuitivo. Attraverso di lei, e attraverso l’analisi etimologica del remoto HAWWAH, termine con cui si indica “tutto” il genere femminile e non la sola Eva, la donna torna a essere al centro: essa è madre e custode della camera divina, il luogo della creazione. Non solo. La vita è donna, senza di lei tutto è destinato a spegnersi. Eva però ha pagato il prezzo della sua disponibilità, della sua capacità di dubitare, della sua desiderabilità e bellezza e, per aver scombinato “piani” non proprio “divini”, ancora oggi è costretta a subire, umiliarsi, a “velarsi”. Qualcosa è andato storto in quel “progetto” antico che negava agli uomini la conoscenza del bene e del male? E persino l’accesso all’albero della vita?

Eva e il “serpente”, insieme, risultano essere dunque i primi responsabili della disobbedienza e della diffusione della conoscenza. È stato questo il loro peccato?

Il messaggio derivato dalla ricerca è stato potente. In quel momento credo di aver compreso come mai tante donne – inconsapevolmente? – abbiano contribuito, e continuino tuttora, a farlo emergere.

La conoscenza è da sempre questione delicata: chi la detiene ha potere sugli altri, lo sappiamo tutti. Quello che “forse” non sappiamo è chi sia a possederla nella sua forma più piena e ad usarla nelle sue forme più subdole.

La letteratura sumera, depositaria di conoscenze straordinarie, fonte originale di tante mie ricerche, mi ha dato indicazioni che non lasciano molto spazio all’interpretazione e hanno fatto cadere, a mio avviso, la sola ipotesi extraterrestre responsabile delle questioni umane, nonché aperto le porte a possibilità decisamente più inquietanti. Questi, però, sono già argomenti del mio secondo libro Uomini e Dei della Terra, dove si delinea con spiccata chiarezza il mio pensiero “presente”, maturato in virtù dei presupposti elaborati durante la stesura di Schiavi degli Dei, che ha passato il testimone.

Biagio Russo

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La ziqqurat

 

  1. In cima si trovava il tempio con l’altare dedicato al dio protettore della città.
  2. Dalle terrazze i sacerdoti osservavano il cielo e le stelle: i Sumeri furono i primi a riconoscere le costellazioni, a calcolare la durata dell’anno e a dividere il giorno in ore.
  3. Alla base della ziqqurat c’erano i magazzini, dove venivano conservati i raccolti; in altri locali, invece, i maestri facevano scuola ai ragazzi.
  4. Un sistema di scale sui fianchi della ziqqurat ne permetteva la salita fino alla sommità.
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Dell’Invidia

Il termine “invidia” proviene dal latino invidia, derivazione di invĭdus da IN – VIDERE, cioè “invidiare”, di cui IN è sopra, e VIDERE è vedere, guardare; perché l’invidioso guarda con occhio bieco e iroso l’altrui felicità, in ogni campo, e bada a tutti i difetti ed alle piccole cose di quello a cui porta invidia per fargliene debito, nella consapevolezza che non potrà essere mai alla sua altezza, come lui.

L’invidia – Giotto

In effetti l’invidia è quel sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece possiede tale bene o qualità.

In sintesi, l’invidia è tristezza e dolore che provano alcuni al vedere l’altrui bene, l’altrui felicità.

Certe persone non ti odiano perché hai fatto qualcosa di male, ma semplicemente perché hai fatto qualcosa meglio di loro. Ma perché?
La risposta non è esplicitamente riportata nei periodi precedenti, c’è molto di più ed è nel profondo di codeste persone, così definite, invidiose.

Diceva Oscar Wilde:
“L’invidia è quel sentimento che nasce nell’istante in cui ci si assume la consapevolezza di essere dei falliti.”
Bhè, c’è andato giù un po’ duro, ma vicino.
L’atteggiamento da parte della persona invidiosa genera un degrado spirituale, un’energia pesante e negativa. Ci sono segni da notare quando sei invidiato e quindi  “derubato”energicamente. Sensazioni fisiche come la stanchezza che sorge dal nulla, angoscia come se fossi minacciato, un terrore non identificato.

Tu comunque…
Sii accorto. Distanziati da codeste esistenze.  Non tentare di cambiarle, non ci riuscirai, devono farlo da sole – chissà se mai ce la faranno. Questo è nell’Ordine delle cose.
Proteggiti!
Devi lavorare sulla tua autostima, sul tuo atteggiamento interiore e quello emotivo;
devi possedere te stesso lavorando sulla tua fiducia in ciò che sei e ciò che desideri;

altrimenti, le tue carenze energetiche diventano un portone d’ingresso facile da varcare e questa energia invidiosa può farti del male.
Quando ti senti più sicuro di te, provi un benessere gratificante e risparmi più energia.

Fai le tue scelte e sopportane le conseguenze, la tua energia sarà tutta tua e sarai…
Irremovibile.

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“Dialogando con…” da Polis Notizie Network

Ringrazio di cuore la gentile Dott.ssa Maria Pia Iurlaro, Direttore editoriale della POLIS NOTIZIE Network – WebTv, di Bari, per l’interesse ai miei studi e per il gradito invito a dialogare con lei in merito alle mie pubblicazioni edite dalla Drakon edizioni.

Ricostruzione della città sumera di Uruk

  1. Al porto arrivavano e partivano i mercanti con le loro merci.
  2. Le mura della città erano spesse e costruite con mattoni cotti, più robusti di quelli usati per le case.
  3. Le dighe permettevano di controllare le piene del fiume. I canali erano vere e proprie vie navigabili, utili per il commercio, ma anche per difendersi dagli invasori.
  4. Il palazzo reale era la casa del re, oltre che simbolo del potere.
  5. Il cimitero reale era destinato al re, alla regina e a tutta la corte insieme ai loro oggetti preziosi.
  6. La ziqqurat era il centro religioso, economico e culturale della città-stato e le attività commerciali si svolgevano intorno ad essa.

L’enigma dei Sumeri

ca. 2900-2370 B.C.
Three Sumerian statuettes of worshipers,

Quale binomio più giusto e coerente?
In effetti, fin dalla fine del XIX secolo, quando fu finalmente decifrata la scrittura cuneiforme dando vita alla nascita dell’assiriologia, si generò un ampio scontro tra i due schieramenti, uno pro e l’altro contro l’attribuzione della paternità di questa nuova scrittura alla lingua sumera di origine semitica. Una diatriba che rese ancor più accidentato il percorso della ricerca delle origini di questo straordinario quanto incredibile popolo che con questa invenzione decretò la fine della Preistoria e l’inizio della Storia.

Immigrati dalla Valle dell’Indo o originari dei territori montani del Caucaso?

Popolazione semita o non semita?

Quesiti relativi ai Sumeri ai quali il mondo accademico, da ben 150 anni, non è ancora stato capace di trovare risposte certe e quindi definitive. Ma le cose stanno proprio così?

Sta di fatto che, allo stato attuale della nostra conoscenza, benché sulla provenienza geografica di questa straordinaria civiltà ci sia chi sostiene pariteticamente l’una o l’altra delle due ipotesi appena indicate, per quanto riguarda l’appartenenza etnica sembrerebbero tutti d’accordo sull’origine non semitica. Sembrerebbero!
È incerto se i Sumeri fossero autoctoni, ma più probabilmente giunsero con una migrazione dall’altopiano iranico o dalla regione indiana;

Abbiamo detto “sembrerebbero”!. Si. Un condizionale, prudente ma soprattutto espressione di un pensiero frutto dell’essere consci che, alla chiusura di un conflitto, in questo caso archeologico-letterario, l’armistizio si concretizza sempre con uno o più compromessi sopportati, come è logico, dalla parte perdente.
Rimane molto interessante la questione che i Sumeri provenissero dalla regione caucasica,  come una serie di rilievi archeologici storico-letterari lo affermerebbe.

Ma la storia, come si sa, la scrivono i vincitori. Una storia che, quando va bene, costituisce una mezza verità, e l’altra mezza, ovviamente, si tende a farla deliberatamente cadere nell’oblio. Tant’è che da quel momento, circa 50 anni fa, sebbene ci siano stati dei timidi tentativi di ricerca, nel mondo accademico non si è più prodotto alcun progresso verso l’enigma delle origini della civiltà sumera. Stallo totale. Strano, non è vero?

Ma se fosse la solita tecnica oscurantistica attuata dal vincitore? Oppure si tratta di una normalissima coincidenza? Il dubbio rimane. A tal proposito Voltaire diceva: “Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno.” Personalmente considero i dubbi la molla propulsiva del sapere, del conoscere e del ricercare. Quindi, mettiamoci all’opera in maniera severa ed ordinata.

Era alla fine del XX secolo quando imperversava lo scontro tra i vari studiosi circa l’accettazione della definizione di una nuova scrittura derivante dalla lingua sumera di origine semitica. La divergenza tra i due schieramenti era tale che i contrari, la parte più consistente, giunsero perfino a negare l’esistenza del popolo, sumero. Però, successivamente questa posizione negazionista dovette mutarsi in possibilista a fronte delle numerosissime prove anche archeologiche che sostenevano la tesi opposta. Ma questo cambio di atteggiamento fu l’unica apertura concessa. In breve, la nuova scrittura e la nuova lingua apparteneva al popolo Sumero che come tale non era di origine semita.

Un compromesso raggiunto con la buona pace di tutti, che indubbiamente ha condizionato tutta la futura filologia dei stesti mesopotamici. Un compromesso che, rileggendo la storia di quel periodo, genera il grande sospetto che esso non fosse scevro da condizionamenti esterni ed estranei, in un certo qual modo, al mondo archeologico e letterario. Perché? Perché proprio in quell’epoca in Europa iniziavano a soffiare i primi vènti antisemiti, e gli studiosi pan germanici non ne erano certo immuni. Una risposta, forse, che non è risolutiva del dubbio, ma che, come vedremo, rappresenta la Stella Polare nel nostro cammino alla ricerca delle origini del popolo Sumero.

Nella miriade di documenti da me esaminati ho avuto modo di leggerne uno straordinario.

Tanto per il suo contenuto quanto per l’autorevolezza del suo autore, tale è Samuel Noah Kramer, il più importante sumerologo del XX secolo. La pubblicazione di Kramer risale al 1963. Perché non è stata messa in luce? Perché non ha ricevuto la giusta risonanza che meritava?

Le conclusioni a cui Kramer giunse, dopo averci portato per mano in un percorso storico e razionale, sono rivoluzionarie; sicuramente scioccanti per l’elevato impatto che esse, se accolte, avrebbero avuto sugli studi biblici. Sarà per questi motivi che sia i sumerologi che gli studiosi del testo biblico, come contromisura, adottarono la strategia dell’indifferenza?

Come spesso accade nel mondo accademico, quando la presentazione di una teoria si discosta dall’ortodossia scientifica in maniera che oserei definire risolutiva, essa viene definita eretica!

Ma quando l’autore dello studio è del calibro del professor Kramer, tacciarlo di eresia avrebbe sollevato un grande e controproducente polverone alimentato, oltretutto, dalla sua conclamata serietà professionale.

Di conseguenza, ecco che i “generali accademici” dell’epoca, per contrastare la minaccia della conclusione a cui era giunto il sumerologo, optarono per una mossa alternativa al tradizionale e consueto discredito: il silenzio. Tutto chiaro!

Gli studi di Kramer partono dalla considerazione generata dal confronto tra il conosciuto della civiltà sumera e la tradizione israelita.

Secondo tali studi, seguendo la narrazione biblica, gli antenati dei patriarchi ebrei, lasciato l’Eden, si trasferirono ed infine si stabilirono nella “Terra di Shinar”, l’antica Sumer. Studi che avvalorano, in particolare, le relazioni tra i patriarchi biblici e i Sumeri:

“I risultati raggiunti dai sumeri in fatto di civiltà, religione e letteratura hanno lasciato un’impronta profonda non solo sui popoli a loro vicini in termini di spazio e tempo, ma anche sulla cultura dell’uomo di oggi, soprattutto attraverso la loro influenza, sia pure indiretta, sugli antichi ebrei e sulla Bibbia. Quanto gli ebrei debbano ai sumeri appare evidente ogni giorno di più, a mano a mano che vengono ricomposti e tradotti i testi della letteratura sumera; che, a quanto ci è dato di vedere, ha non poche caratteristiche in comune con i libri della Bibbia.”[1]

Quello che ad una prima lettura potrebbe sembrare una teorica  premessa, in verità oggi è un concetto ormai consolidato. Ad essere precisi, Kramer lo aveva già ampiamente dimostrato nella sua pubblicazione del 1956 dal titolo “From the sumerian tablets[2] e tale opinione fu poi largamente accettata dal mondo accademico.

Come ogni buon progetto di indagine, anche questo parte da un dato di fatto, uno status quo fondamentale che genera inevitabilmente delle domande come:

“Se i sumeri sono stati un popolo che nel Vicino Oriente antico ha raggiunto risultati tanto importanti in campo letterario e culturale da lasciare un’impronta indelebile sulle opere degli uomini di lettere ebrei, perché mai la Bibbia quasi non li nomina?”[3]

Nell’Antico Testamento vengono citate quasi tutte le civiltà importanti del Vicino Oriente antico come Egizi, Cananei, Amorrei, Urriti, Ittiti, Assiri, Babilonesi, ed altri. Ma i Sumeri non vengono indicati. Perché?

Come già detto precedentemente, il professor Kramer era persona di provata onestà e capacità, e queste qualità emergono anche in questa occasione; lo dimostra il fatto che con la pubblicazione di questo lavoro non intendesse solo servire la causa dell’assiriologia, ma anche riproporre una analoga indagine pubblicata la prima volta nel 1941. Indagine il cui autore era nientemeno che il suo maestro Arno Poebel (1881-1958), altro grande ricercatore del pianeta Mesopotamia.

Il motivo di questa riesposizione? Trasparentissimo. Ecco come lo giustifica:

“Vale la pena di ricordare che a questo interessante enigma il mio maestro e collega, Arno Poebel, ha proposto una soluzione in un articolo pubblicato dall’«American Jounal of Semitic Languages» (vol. 58, 1941, pp. 20-26). L’ipotesi di Poebel non ha trovato alcuna eco tra gli orientalisti e sembra che sia caduta nel dimenticatoio. È mia opinione, tuttavia, che reggerà la prova del tempo e che prima o poi avrà il riconoscimento che le spetta, in quanto contributo significativo alla determinazione delle correlazioni tra ebrei e sumeri.”[4]

Ogni commento è superfluo. Questo paragrafo trasuda sconforto, dolore, sbigottimento, ma, nello stesso tempo, speranza e fiducia per un futuro che saprà riconoscere meriti ed onori trascurati.
Le mie sensazioni erano giuste, tanto quanto i dubbi da esse generate: gli orientalisti – come li definisce Kramer – hanno disprezzato con la noncuranza. Assodato questo, rimane da capire perché.
Con la pubblicazione del risultato di questa straordinaria analisi, lo scopo di Kramer fu di dare la soluzione all’enigmatica assenza dei Sumeri dal racconto biblico.
Per fare ciò, l’autore prese in esame in maniera rigorosa la grammatica della scrittura sumera. Vediamo come.

Nell’uso delle consonanti, quando queste si trovavano al termine di una parola, i Sumeri omettevano di pronunciarle. Nel caso specifico in cui la parola fosse dingir, essa veniva pronunciata “dingi”, per quanto la consonante “r” fosse scritta. Proseguiamo:“Torniamo dunque al nostro problema e alla ricerca della parola «Sumer», o meglio «Shumer», per usare la forma che compare nei documenti in caratteri cuneiformi. Poebel fu colpito dalla somiglianza tra «Shumer» e «Shem», il nome del figlio maggiore di Noè, da cui derivano gli eponimi come Ashur, Elam, e soprattutto, Eber, l’eponimo degli ebrei.”[5]

Il passo della Bibbia, a cui si fa riferimento, è in Genesi 10, 21-22 ed è il seguente: 21 Unto Shem, the father of all the children of Eber […].  22 The children of Shem; Elam, and Asshur, and Arphaxad, and Lud and Aram.[6]

Ora, considerato che, come ormai comunemente accettato dall’intera comunità degli storici, per “figli di Eber” si intende il popolo ebreo, non potrebbe ugualmente dirsi che il nome Shem rappresenti l’eponimo del termine Shumer, ovvero la terra di Sumer?
Per Kramer non c’è alcun dubbio: la risposta è affermativa e ce lo dimostra precisando che: la vocale ebraica “e” equivale spesso alla vocale cuneiforme “u” (v. lo shum accadico e lo shem ebraico entrambi significanti “nome”); come indicato nelle righe precedenti in merito all’uso delle consonanti finali, la parola shumer veniva pronunciata shumi o, più frequentemente, shum (la vocale “i” è molto corta), così come nella lingua ebraica la parola sarebbe stata pronunciata shem.

Ecco la conclusione di Kramer: “Se l’ipotesi di Poebel risulta corretta, e Shem corrisponde a Shumer/Sumer, dobbiamo concludere che gli autori ebrei della Bibbia, o quanto meno alcuni di loro, considerarono che i sumeri fossero gli antenati del popolo ebraico.[7]

È all’interno di questo periodo che c’è la causa rivoluzionaria che avrebbe generato l’umiliante indifferenza dei sumerologi: «[]che i sumeri fossero gli antenati del popolo ebraico». Ma questa, al momento, costituisce solo un sospetto che, sebbene forte, non è certezza. La nostra indagini, quindi, non è terminata, ma forse siamo sulla strada giusta che ci porta alla soluzione che, come vedremo tra poco, è ormai ad un passo da noi.

Riflettiamo. Abbiamo detto “umiliante indifferenza dei sumerologi”. Se questo atteggiamento fosse verità e non sospetto, in quale miglior contesto coerente troverebbe allocazione se non in quel conflitto archeologico-letterario indicato come “questione sumerica”?

In sintesi, in quel contesto, nel 1857 fu finalmente decifrata la scrittura cuneiforme e decretata la nascita dell’assiriologia; l’eccezionalità dell’avvenimento avrebbe cambiato, da quel momento, la conoscenza storica di tutta l’antica area mediorientale e, quel che più contava, della conoscenza delle origini della civiltà umana. Come già detto in precedenza, in quel tempo, in Europa iniziavano a soffiare i primi vènti antisemiti; con il passare del tempo, tra i ricercatori prese sempre più terreno la persuasione che la lingua di una parte dei testi babilonesi e assiri non fosse semita. Quei ricercatori, avversi alla nuova teoria di Kramer che dava alla scrittura sumerica ed al popolo che la espresse un’origine semita, giunsero perfino a negare l’esistenza della lingua sumerica se non addirittura a negare l’esistenza del popolo sumero stesso. Una posizione, questa, che non fu totalmente vincente, ma che per il mondo accademico degli orientalisti diventò un fatto deciso, accettato e definitivo: la scrittura, il suo linguaggio ed i loro padri Sumeri non erano semitici.

Ci siamo. Il cerchio sta per chiudersi. Siamo finalmente giunti al compromesso di fine conflitto: per i Sumeri andava bene la gloria, il merito, la gratitudine per aver inventato la scrittura ancor prima degli egiziani, nonché l’ammirazione per il suo straordinario sapere. Ma questo popolo non poteva e soprattutto “non doveva assolutamente essere semita”.

Per contro, due assiriologi di fama mondiale e competenza universalmente riconosciuta, Arno Poebel nel 1941, Samuel Noah Kramer nel 1963, con coraggio, coerenza e indiscussa capacità professionale, pubblicarono la loro straordinaria scoperta circa l’origine degli inventori della scrittura adducendo, prove storiche e filologiche alla mano, che i Sumeri:

  • sarebbero i discendenti del biblico Shem figlio di Noè, superstite del diluvio;
  • si insediarono nella Mesopotamia meridionale in quel territorio che, per la loro presenza, prese il nome di “Terra di Shumer” (la biblica Shinar);
  • contrariamente al pensiero convenzionale di quel momento, erano evidentemente un popolo semita.

Rivelazioni sconcertanti? No assolutamente, tutt’altro.
Esse segnano il progresso della conoscenza, lo scioglimento dei dubbi, la soluzione di un enigma. Eppure, al tempo furono “private dell’ossigeno della pubblicità.”[8]

Era il 1941. L’Europa era in piena seconda guerra mondiale e l’anti-semitismo era alla sua massima espressione. Un antisemitismo che, nonostante l’origine del termine, non si riferisce all’odio rivolto a tutte le popolazioni semitiche bensì all’odio e alla discriminazione unicamente verso gli Ebrei. E “Shem” era il padre di tutti gli Ebrei.

Lascio a voi le considerazioni finali che sì, in questo caso, sono davvero sconcertanti.

 

Proprietà letteraria riservata.
Fonte: Schiavi degli Dei – l’alba del genere umano.
© 2009 Biagio Russo
© 2010 Drakon edizioni
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[1]xS.xN. Kramer, The Sumerian – their history, Culture and Character, p. 290,          .University of Chicago Press, Chicago, USA 1963/1971.
[2]. S. N. Kramer, op. cit.
[3]. S. N. Kramer, The Sumerian, p. 297 op. cit.
[4]   Id.
[5] S. N. Kramer, The Sumerian, p. 298, op. cit.
[6] The Authorized Version or King James Version (KJV), 1611, 1769.
[7] S. N. Kramer, The Sumerian, p. 298, op. cit.
[8] D. Rhol, p. 132, op. cit.

 

Ebrei ispirati dai Sumeri

La scoperta di tradizioni identiche, ma antecedenti alla teologia israelita, dimostra l’ebreizzazione di antichi miti. “Tutte le leggende mesopotamiche circolavano anche nella terra di Canaan prima dell’invasione ebraica”, afferma nella sua indagine critica lo studioso E. Lipinsky.
Per dovere di cronaca storica, i Sumeri non possono aver influenzato gli Ebrei direttamente, molto semplicemente perché essi cessarono di esistere molto prima della comparsa degli Ebrei.
Ciò premesso, non c’è dubbio, però, che i Sumeri influenzarono profondamente i Cananei, che precedettero gli Ebrei in quella terra che divenne nota più tardi con il nome di Palestina, nonché, ovviamente, i loro vicini, come gli Assiri, i Babilonesi, gli Ittiti, gli Urriti e gli Aramaici.
Il resto è storia.