Ziusudra (o Zin-Suddu) di Shuruppak è un mitico Re sumero antidiluviano. Egli viene nominato nella Lista Reale Sumerica (LRS) come ultimo Re ad aver regnato prima del diluvio “che spazzò via ogni cosa”.
Il suo nome significa “colui che ha visto la vita“, in riferimento al dono dell’immortalità ricevuto dagli dèi per essere sopravvissuto all’inondazione che quest’ultimi scatenarono sulla terra con l’intenzione di cancellare il genere umano.
Il mito di Ziusudra è la più antica epica del diluvio mai ritrovata.
Il mito è conservato su una tavoletta scritta in caratteri cuneiformi che risale al periodo della prima dinastia di Babilonia (1700 a.C circa, 1250 anni prima della sua redazione nella Bibbia), quando la lingua impiegata nella scrittura religiosa e nei documenti amministrativi era ancora quella sumera.
Questa tavoletta è stata denominata “Genesi di Eridu”, nella considerazione che essa contiene anche una parte dedica alla creazione.
Il reperto risale ad un momento tardo della cultura sumerica, tuttavia, dai contenuti e dai soggetti in esso riportati, è da far rientrare, come dicono gli assiriologi, ad un periodo risalente al periodo protodinastico (circa 3000 a.C), ben 2500 anni prima della composizione del diluvio nella Bibbia.
Ziusudra, come alcuni sapranno, risulta essere l’eroe del diluvio che ritroviamo nella letteratura Babilonese, più precisamente nell’XI tavoletta dell’Epopea di Gigamesh, dove viene chiamato Utnampishtim.
Quindi, l’opera di Enki e di Ninhursag per la creazione del “lulu” (trd. “il mischiato”) doveva davvero perire come voleva Enlil, o il Seme dell’umanità andava preservato?
La letteratura ufficiale ci insegna che tuttavia, senza venir meno al giuramento effettuato nell’assemblea degli Anunna, Enki rilevò in Ziusudra colui tramite il quale si poteva salvare l’umanità. Non appena Ziusudra tornò a pregare e a supplicare aiuto nel tempio, Ea (Enki) con uno stratagemma iniziò a bisbiglire da dietro un paravento dando a Ziusudra le istruzioni che il caso richiedeva.
Quanto ho riportato è Storia, non religione.
“La vita è come un viaggio in treno con le sue stazioni, i suoi cambi, i binari, i suoi incidenti.
Nel nascere saliamo in treno e ci troviamo con i nostri genitori e crediamo che sempre viaggeranno al nostro fianco, ma in qualche stazione loro scenderanno lasciandoci viaggiare da soli.
Nello stesso modo nel nostro treno saliranno altre persone significative: i nostri fratelli, amici, figli e anche l’amore della nostra vita. Molti scenderanno e lasceranno un vuoto permanente… altri passeranno inosservati!
Questo viaggio sarà ricco di gioie, dispiaceri, fantasie, attese e saluti.
La riuscita di questo viaggio consiste nell’avere una buona relazione con tutti passeggeri, nel dare il meglio di noi stessi.
Il grande mistero è che non sappiamo in quale stazione scenderemo, per questo dobbiamo vivere nel migliore dei modi, amare, perdonare, offrire il meglio di noi.
Così…
quando arriverà il momento di scendere…
lasceremo dei bei ricordi agli altri passeggeri…”
Le Storie di Ricerca alla finestra di Schiavi degli Dei
Nel mio “viaggio verso la conoscenza”, mi sono imbattuto in una moltitudine di documenti antichi, testi apocrifi o testi storici dimenticati.
Tutti molto interessanti, ma non sempre strettamente attinenti allo scopo della mia ricerca sulle origini del genere umano, tanto da essere esclusi dalla composizione del libro “Schiavi degli Dei”.
Tuttavia, sicuro della loro valenza storica, è mia intenzione presentarne alcuni in questa pagina.
Per non appesantirne la lettura, ho suddiviso il documento/racconto in quattro parti.
Qui, al termine della Parte III, troverete la nuova ed ultima Parte IV, chi avesse perso la lettura delle puntate precedenti le ha qui di seguito a disposizione.
Buona lettura
Chi era Diodoro Siculo
Diodoro Siculo fu uno storico greco antico, nato nel 90 a.C., autore di una monumentale storia universale che prese il nome di “Biblioteca storica”.
Egli, per la redazione della sua opera, raccolse la documentazione necessaria effettuando, tra l’altro, una serie di viaggi “di studio” finalizzati al reperimento di fonti (in primo luogo scritte, ma anche orali) e innanzi tutto (a suo dire) atti ad effettuare delle verifiche autoptiche.
Di seguito alcuni abstracts.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte I
[…] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa, cercheremo di discorrere sinteticamente, dopo aver esposto prima, con precisione, le ragioni della scoperta.
Giambulo fin da ragazzo aveva coltivato con entusiasmo la propria educazione e dopo la morte del padre, che era mercante, anch’egli si diede alla mercatura; inoltratosi in quella zona dell’Arabia che produce aromi, fu preso con i compagni di viaggio da certi briganti. Ora, dapprima con uno di quelli insieme ai quali era stato catturato fu designato pastore, più tardi, però, fu preda di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.
Costoro vennero rapiti perché appartenevano a un altro popolo, per purificare il paese: infatti, questa era l’usanza degli Etiopi che vi abitavano, tramandata da tempi antichi, e sanzionata da responsi oracolari degli dei, per venti generazioni, seicento anni (essendo una generazione calcolata della durata di trent’anni).
Mentre la purificazione veniva compiuta dai due uomini, era stata costruita per loro una barchetta, proporzionata per dimensioni, forte abbastanza da sopportare le tempeste in mare e che poteva facilmente essere portata a remi da due persone; dopo avervi messo dentro cibo per due uomini sufficiente per sei mesi, e averveli fatti salire, ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.
Dissero loro che sarebbero giunti a un’isola prospera e presso uomini amabili, dove sarebbero vissuti beatamente; ugualmente – affermarono – anche il proprio popolo, se quelli mandati fossero giunti sani e salvi sull’isola, avrebbe goduto per seicento anni di pace e di una vita prospera sotto ogni aspetto; ma se, atterriti dalla vastità del mare aperto, avessero navigato indietro, sarebbero incappati nelle massime punizioni come empi e corruttori dell’intero popolo.
Gli Etiopi, dunque – affermano – tennero una grande adunanza solenne sul mare, e dopo aver compiuto sacrifici magnifici, incoronarono quelli che dovevano cercare l’isola e purificare il loro popolo, e li inviarono via.
Essi, dopo aver navigato per lungo tratto in mare aperto ed essere rimasti esposti per quattro mesi alle tempeste, furono portati all’isola del presagio, che era di forma circolare, e con un perimetro di circa cinquemila stadi.
Ma, quando erano ormai vicini all’isola, alcuni dei nativi, fattisi loro incontro, tirarono a terra lo scafo; gli abitanti dell’isola, accorsi, si meravigliarono del fatto che degli stranieri vi fossero approdati, però si comportarono amabilmente e condivisero con loro quanto di utile offriva il paese.
Gli abitanti dell’isola erano molto diversi da quelli della nostra parte del mondo abitato, per caratteristiche fisiche e per modo di vivere; infatti, erano tutti simili fisicamente, e in altezza superavano i quattro cubiti, però le loro ossa potevano curvarsi fino a un certo punto, e di nuovo raddrizzarsi, come le parti nervose.
Erano, nel fisico, eccezionalmente delicati; tuttavia, molto più vigorosi degli uomini delle nostre parti. Infatti, quando afferravano un oggetto con le mani, nessuno era in grado di toglierlo dalla presa delle loro dita. Non avevano peli assolutamente in nessuna parte del corpo, eccetto che sulla testa e tranne che sopracciglia e ciglia, e ancora, sul mento, mentre le altre parti del corpo erano così glabre che non vi si vedeva la minima peluria.
Erano avvenenti per la loro bellezza, e ben proporzionati nella costituzione fisica. Le aperture delle orecchie erano molto più ampie delle nostre e le parti sporgenti sviluppate in modo da servire da valvole di chiusura.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte II
E per quanto riguarda la lingua, avevano una peculiarità, in parte naturalmente congenita, in parte risultato di un’operazione fatta intenzionalmente. Infatti avevano la lingua doppia per un certo tratto, ed essi ne suddividevano ulteriormente la parte interna cosicché la lingua era doppia fino alla radice.
E perciò erano molto versati nei linguaggi, poiché non soltanto imitavano ogni lingua umana articolata, ma anche i vari canti degli uccelli, e in generale riproducevano ogni particolarità dei suoni; ma, cosa più straordinaria di tutte, conversavano perfettamente in contemporanea con due persone che avessero incontrato, rispondendo a domande e discorrendo in modo pertinente delle circostanze del momento; infatti, con una sezione della lingua parlavano con una persona, con l’altra allo stesso modo con la seconda. Il clima era estremamente temperato presso di loro, in quanto abitavano all’equatore, e non soffrivano né caldo né freddo; e i frutti maturavano presso di loro per l’anno intero, come afferma anche il poeta:
«La pera invecchia sulla pera, la mela sulla mela, sull’uva l’uva, il fico sul fico».
Presso di loro il giorno è sempre pari alla notte, e a mezzogiorno presso di loro non c’è ombra per niente, per il fatto che il sole è allo zenith.
Essi vivono divisi in gruppi organizzati politicamente e secondo la parentela, riunendosi i parenti in non più di quattrocento; costoro trascorrono l’esistenza all’aperto, dal momento che il paese possiede molte cose per il loro sostentamento; infatti, per la buona qualità del suolo dell’isola e per la mitezza del clima gli alimenti crescono spontaneamente più che a sufficienza.
Cresce, infatti, presso di loro, in gran quantità una canna, la quale produce un frutto in abbondanza, che ha qualche somiglianza con le veccie bianche. Ora, raccoltolo, lo immergono in acqua calda, finché non raggiunga le dimensioni di un uovo di colombo; quindi lo schiacciano e lo tritano, e con mani esperte plasmano pani, che si mangiano cotti e che sono eccellenti per la loro dolcezza.’
Ci sono anche sorgenti abbondanti, alcune d’acqua calda, ben adatte per farvi il bagno e per togliere la stanchezza, altre d’acqua fredda, eccellenti per la loro dolcezza, che possono giovare alla salute. Presso di loro si cura ogni ramo della conoscenza, soprattutto l’astrologia.
Ed essi usano lettere dell’alfabeto, che sono ventotto di numero secondo il valore dei suoni che rappresentano, ma i segni sono solo sette, ciascuno dei quali si può formare in quattro modi diversi. Scrivono le righe non orizzontalmente, ma dall’alto in basso, su linee rette. Gli uomini sono eccezionalmente longevi, vivendo fino a centocinquant’anni e per lo più senza malattie.
Chi è storpio o, in generale, ha qualche menomazione fisica, lo costringono a togliersi la vita secondo una legge severa. È loro usanza vivere per un numero di anni determinato e, dopo aver compiuto questo periodo di tempo, di propria spontanea volontà si uccidono, dandosi una morte strana. Infatti presso di loro cresce un’erba, per effetto della quale uno, quando vi si metta a giacere sopra, senz’accorgersene, dolcemente, cade addormentato e muore.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte III
Le donne non le sposano, ma le tengono in comune, e i figli così nati, allevandoli come se fossero di tutti, li amano tutti alla pari; e quando ancora non parlano, i fanciulli spesso cambiano nutrice, affinché le madri non riconoscano i propri. Perciò, dal momento che presso di loro non c’è alcuna rivalità, vivono sempre senza conoscere lotte intestine, e fanno sempre grandissimo conto della concordia. Presso di loro vi sono anche animali di piccole dimensioni, ma straordinari per la natura del corpo e per il potere del loro sangue; essi sono di forma tondeggiante e hanno qualche somiglianza con le testuggini, ma in superficie sono segnati da due linee giallastre in diagonale, e a ognuna delle estremità hanno un occhio e una bocca.
E perciò, pur guardando con quattro occhi e usando altrettante bocche, raccolgono il cibo in una sola gola, e il nutrimento inghiottito attraverso di essa confluisce tutto quanto in un solo stomaco; ugualmente i visceri e tutti quanti gli altri organi interni li hanno unici, mentre sotto, intorno alla circonferenza, ci sono molti piedi, con i quali possono camminare nella direzione che desiderano.
Il sangue di questo animale ha un potere mirabile; infatti incolla immediatamente il corpo di ogni essere vivente che sia stato tagliato, e anche se per caso è stata tagliata via una mano o qualcosa di simile, con esso la si incolla, se il taglio è recente, e così anche le altre membra del corpo che non appartengano ai punti importanti e vitali.
Ogni gruppo di persone alleva un uccello assai grande, di una particolare specie, e con questo fanno delle prove per vedere quale disposizione di spirito abbiano i fanciulli, quando ancora non parlano. Infatti, li mettono sopra questi animali e quando gli uccelli volano, i bambini che resistono al trasporto per aria, li allevano, mentre quelli che vengono colti da nausea e sono pieni di sbigottimento, li abbandonano, in quanto destinati a non vivere a lungo, e, per il resto, indegni di esser presi in considerazione a causa della loro disposizione di spirito.
È sempre il più anziano di ciascun gruppo ad avere l’autorità, come un re in certo senso, e a costui tutti obbediscono; quando egli, finiti i centocinquantanni, secondo la legge si uccide, gli succede il più anziano dopo di lui.
Il mare intorno all’isola, che è agitato dalle correnti ed è soggetto a grandi riflussi e ad alte maree, è dolce di sapore. Delle costellazioni che appaiono da noi, le Orse e molte altre in generale non sono visibili;
queste isole erano sette, simili per grandezza, a uguale distanza l’una dall’altra, e in tutte si praticavano i medesimi usi e le medesime leggi.
Tutti gli abitanti delle isole, pur avendo abbondanti provviste di ogni cosa che vi cresce spontaneamente, tuttavia non si danno a goderne senza misura, ma perseguono la semplicità e prendono il cibo che è loro sufficiente; la carne e tutti gli altri cibi arrostiti e lessati nell’acqua li preparano loro, mentre sono del tutto ignoranti degli altri intingoli, fatti con arte da cuochi di professione, e dei vari modi di condire.
Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte IV (ultima)
Venerano come divinità ciò che circonda tutte le cose, e il sole, e in generale tutti i corpi celesti.
Pescano una gran quantità di pesce di varia specie in svariati modi, e cacciano non pochi volatili.
C’è, presso di loro, una gran quantità di alberi da frutto che vengono su spontanei, e crescono olivi e viti, da cui traggono olio in abbondanza e vino. Vi sono serpenti che si distinguono per dimensioni e che non recano al cuna offesa agli uomini; hanno carni commestibili, che si distinguono per dolcezza. Le vesti se le fanno loro con certe canne che hanno all’interno una lanugine risplendente e morbida, che raccolgono e mescolano con le conchiglie marine frantumate, creando mirabili mantelli di porpora. Le specie animali sono particolari e incredibili per la loro stranezza. Presso di loro il regime alimentare segue un determinato ordine: non prendono tutti contemporaneamente il cibo e neppure gli stessi alimenti; spesso è stabilito che in certi giorni determinati essi mangino talvolta pesce, talvolta carne di uccello, talora di animali di terra, e qualche volta olive e i piatti più semplici. Si servono l’un l’altro, a vicenda: alcuni pescano, altri si impegnano nei mestieri artigianali, altri si occupano di altre utili attività, altri prestano servizi pubblici a turno, tranne chi è ormai vecchio.
Presso di loro, nelle feste e nei conviti si recitano e si cantano inni ed encomi in onore degli dei, soprattutto del sole, dal quale hanno dato nome alle isole e a se stessi. Seppelliscono i morti quando la marea è bassa, interrandoli nella sabbia, cosicché quel luogo durante l’alta marea sia ricoperto di nuova sabbia. Affermano che le canne, da cui deriva il frutto per il loro sostentamento, hanno lo spessore di un palmo, crescono durante i periodi di luna piena e viceversa rimpiccioliscono proporzionatamente nei periodi in cui la luna manca. L’acqua delle sorgenti calde, che è dolce e salutare, mantiene il calore, e non si raffredda mai, a meno che non sia mescolata con acqua fredda o vino.
Rimasti sette anni presso di loro, Giambulo e il compagno furono scacciati contro la propria volontà, in quanto ritenuti malfattori e per essere stati educati con malvagie abitudini. Dunque, costruita un’altra volta una barchetta, furono costretti a partire, e, dopo avervi messo dentro del cibo, navigarono per più di quattro mesi; furono sbattuti in India, sulla spiaggia, in contrade lagunose. E il compagno rimase ucciso dai flutti, mentre Giambulo, avvicinatosi a un certo villaggio, fu condotto dalla gente del paese dal re nella città di Palibotra, lontana dal mare un cammino di molti giorni. Poiché il re aveva simpatia per i Greci, ed era devoto alla scienza, egli fu considerato degno di grande accoglienza. Alla fine, con un salvacondotto passò dapprima in Persia, e più tardi giunse sano e salvo in Grecia. Giambulo considerò questa vicenda meritevole di essere scritta e trattò non pochi argomenti sull’India, ignorati dagli altri popoli. Per quanto ci riguarda, dal momento che abbiamo adempiuto la promessa fatta all’inizio del libro, lo concluderemo a questo punto.”
La prostituzione sacra (o prostituzione del tempio o prostituzione religiosa) è un rituale sessuale che consiste principalmente in un rapporto sessuale o in un’altra attività di tipo erotico svolta nel contesto del culto religioso predominante, in prevalenza all’interno degli stessi luoghi di culto, forse come forma di rito di fertilità e del “matrimonio divino” o ierogamia.
Molto interessante e descrittivo di questo tipo di rituale, è quanto ci racconta Erodoto nel suo Storie 1.199
«Infine, la più turpe delle usanze babilonesi è la seguente: ogni donna del paese deve andare nel santuario di Afrodite una volta nella sua vita e unirsi a un uomo straniero. Molte, sdegnando di mescolarsi con le altre, superbe come sono delle loro ricchezze, si fanno portare al tempio su carri coperti e si pongono lì, seguite da numerosa servitù.
Le più invece fanno così: nel santuario di Afrodite si mettono sedute molte donne con una corona di corda attorno al capo; le une vengono, le altre vanno. In tutte le direzioni ci sono passaggi diritti in mezzo alle donne e passandovi attraverso gli stranieri scelgono.
Quando una donna ha preso posto lì non torna a casa prima che uno degli stranieri, gettatole in grembo del denaro, non si sia unito a lei fuori del tempio. Gettando il denaro egli deve dire queste parole: «Io invoco la dea Militta».
Gli Assiri chiamano infatti Militta Afrodite (già Ishtar per i Babilonesi e Inanna per i Sumeri – n. personale). La somma di denaro è quella che ciascuno vuole, poiché certo la donna non lo respingerà – e non è lecito – perché questo denaro diventa sacro. La donna segue il primo che le abbia gettato del danaro e non respinge nessuno. Dopo essersi unita all’uomo e aver così adempiuto l’obbligo verso la dea torna a casa, e da allora in poi non daresti mai tanto da poterla possedere.
Quelle che hanno un bell’aspetto fisico presto se ne vanno, mentre quelle di loro che sono brutte rimangono per molto tempo, non potendo soddisfare la legge; e alcune fra loro rimangono anche per un periodo di tre o quattro anni. Anche in alcune zone di Cipro c’è un’usanza simile a questa.»
Inanna seduce il Dio creatore, suo zio Enki, signore dell’acqua dolce, che dà vita e fertilità.
E quando egli è ebbro del vino invecchiato che lei gli ha offerto e della passione sensuale, si fa rivelare i 100 segreti della conoscenza, che poi regala agli esseri umani.
Inanna è una e trina. Lei è contemporaneamente 3 Dee.
Il suo amato, Dumuzi, viene ucciso e lei per riportarlo in vita scende nel mondo di sotto dove regna sua sorella Ereshkigal.
Inanna si adorna di 7 ornamenti d’oro, perle e pietre preziose e scende nel mondo dei morti, superando 7 cancelli. Ma a ogni cancello deve rinunciare a uno dei 7 ornamenti.
Arriva quindi nuda al cospetto della sorella.
Chi varca la soglia del mondo di sotto muore e dopo tre giorni resuscita.
Alla fine Inanna fa un patto con la sorella, il suo sposo Dumuzi starà per sei mesi nel mondo dei morti e per sei mesi nel mondo dei vivi, così che per la metà dell’anno le piante possano crescere e i frutti maturare.
Le storie di Inanna sono molteplici e per ognuna abbiamo diverse versioni. Questi racconti, all’origine di numerosissimi miti religiosi, sono un condensato di idee e simboli che sono le fondamenta dei miti umani. La sua epopea è tra le più antiche e complesse.
Eppure a scuola neppure ne parlano.
Se il racconto di Inanna venisse letto a scuola, in effetti, avremmo dei problemi. Soprattutto laddove dice:
“Quanto a me, Inanna, Chi arerà la mia vulva? Chi arerà il mio alto campo? Chi arerà il mio umido terreno? Quanto a me, giovane donna, Chi arerà la mia vulva?…”
Dumuzi rispose:
“Grande Signora, il re arerà la tua vulva. Io, Dumuzi il Re, arerò la tua vulva.“
Inanna disse:
“Ara dunque la mia vulva, o uomo del mio cuore! Ara la mia vulva!“
Tutto chiaro e senza tabù, questo oltre 4000 anni fa!
Oggi non è più così e il perché ve lo lascio intuire.
Le foto riportate (v. figura ) non rappresentano la realtà, bensì una ricostruzione grafica finalizzata alla realizzazione di un documentario. In effetti, i sub rappresentati con le torce producenti fasci di luce sono una cosa bizzarra che fa pensare subito ad una manipolazione dell’immagine, a prescindere dalla profondità in cui si trova il misterioso reperto, oltre gli 80 mt.
Il caso non è nuovo e risale all’incirca ai primi 10 anni del 2000.
L’oggetto scoperto sul fondo del mare sembrava essere tutto, meno che un ufo caduto dal cielo. La conferma che si tratti realmente di qualcosa di terrestre e soprattutto di naturale arriva indirettamente da un’intervista radio rilasciata da Peter Lindberg, responsabile del gruppo Ocean X, che fece la “scoperta” attraverso rilevamenti sonar del fondo oceanico.
Quel che sembrava essere una nave aliena adagiata sul fondo del Mar Baltico in realtà non è altro che un deposito di materiale legato all’ultima glaciazione.
Nell’intervista inizialmente egli parla dell’oggetto con tanti se e ma e con diversi condizionali “Esso possiede delle strutture a scala molto strane e se venne costruito ciò avvenne prima dell’ultima glaciazione, cioè prima di 20.000 anni fa. Se fosse Atlantide sarebbe molto sorprendente”.
Poi, però, durante l’intervista Lindberg riconosce che l’oggetto potrebbe essere naturale, potrebbe essere un grande asteroide penetrato nel ghiaccio durante l’era glaciale, o un vulcano sottomarino. Tuttavia egli continua a sottolineare che i geologi ritengono la “cosa” molto strana, perché là sotto non ci dovrebbero essere vulcani. Poi dice che egli ha realizzato un documentario sull’oggetto, da cui sono tratte le immagini riprodotte in maniera artefatta.
Lindberg poi, sostiene di aver dato a Volker Brucher dell’Università di Stoccolma un campione di roccia da analizzare e un giornale svedese ha riportato che il ricercatore è rimasto molto sorpreso nell’aver scoperto che si trattava di una roccia vulcanica. Da questa sorpresa si evincerebbe che il ricercatore ipotizza che la struttura sarebbe un’antichissima costruzione sulla falsa riga di Atlantide. Ma la voce ufficiale di Brucher dice: “delle rocce che mi sono state sottoposte sono in realtà degli gneiss (rocce metamorfiche) dei graniti e delle arenarie ”. E questo spiega esattamente ciò che ci si aspetta di trovare in una valle glaciale di migliaia di anni fa, ossia rocce trasportate dai ghiacci di provenienza diversa, compreso un piccolo campione di roccia vulcanica.
A questo punto Lindberg non ha risposto all’ipotesi avanzata da Brucher, ma che al momento risulta la più semplice, la più naturale, la meno esotica…
Tra l’altro, cosa molto importante, dell’oggetto misterioso del Mar Baltico non esistono immagini chiare se non la solita immagine ottenuta con il sonar, che, dicono gli esperti:
“… è stata effettuata a bassa risoluzione e non permette alcuna interpretazione!”
Peccato davvero perché un bell’uSo (unidentified Submarine object) ci mancava proprio da analizzare…
Nel giorno di Mercurio 19 Gennaio 2022
dalle ore 21.00 alle ore 22.00…
Potrete assistere, in rete, in diretta online, ad una mia intervista ad opera di Elena e Giulio, di “Dialoghi Sparsi.” DialoghiSparsi è un’associazione culturale nata da una collaborazione tra Roma, Verona e Milano con l’esigenza di unire varie voci e talenti creando un dialogo sempre aperto e interdisciplinare su tutto ciò che concerne corpo-mente-spirito e ambiente.
“Delusione” deriva dal verbo latino “deludĕre”, cioè “prendersi gioco”; da “ludus” (gioco).
Si rimane delusi quando sono venute meno delle aspettative, sia riferite a eventi che a persone: “Facevo molto affidamento su di te, ma mi hai deluso!”
Spesso la delusione viaggia a braccetto con l’illusione o l’inganno, ma in verità sono eventi causa che determinano il sentimento di quell’emozione, la delusione, che ne è una conseguenza e può essere più o meno intensa: essere delusi, essere profondamente delusi, ecc.
Ciò premesso, sappi che:
le persone non ci deludono, siamo noi che le sopravvalutiamo, loro sono quello che sono sempre state, eravamo noi che avevamo bisogno di vederle superiori.
Non affidarti agli altri, conta su te stesso, abbi fiducia nella tua forza, si te stesso, sempre.
Non permettere a qualcuno di dirti cosa devi pensare, non mettere la tua mente nelle mani di altri.
Non smettere mai di imparare.
Non crearti aspettative, immagina i tuoi desideri come se fossero già e lascia che tutto scorra.
Ricorda…
Nessuno può sentirsi superiore agli altri, tu sei unico!
Soprattutto, non chiudere mai il cuore, ma lascia aperto il cervello.
Non si sa mai…
“Le labbra della saggezza sono aperte solo alle orecchie della comprensione”
Kybalion
Le dottrine esoterice e occulte che, per secoli, hanno lasciato la loro impronta nel pensiero filosofico dei polopi di tutto il mondo trattono radici nell’antico Egitto.
Qui, tra piramidi e sfingi, nacquero le dottrine mistische della sapienza eterna, dalle cui fondamenta derivò ogni altro insegnamento proveniente dall’India, Persia, Caldea, Media, Cina, Giappone, Babilonia, antica Grecia e Roma.
Tutti si nutrirono del frutto del sapere che i grandi maestri della terra di Iside, già Ishtar per i Babilonesi e Inanna per i Sumeri, avevano accumulato per millenni e tramandato a coloro che erano in grado di comprenderlo.
Dall’epoca del grande Ermete, nessun sapiente è riuscito a raggiungere le vette della saggezza dei maestri dell’antico Egitto, dove si trovava la grande Loggia delle logge della mistica.
E’ dal quel sacro tempio che giunsero i neofiti, i quali, divisi in gerofanti, maestri e adepti, vagarono poi nel mondo portandol con sé tutto il retaggio della sapienza occulta per rendrne partecipi coloro che erano pronti a riceverlo.
A dessi e ai loro meriti si rivolge, tuttora con riverenza, ogni studioso di scienze occulte.
Sebbene i maestri dell’antico Egitto fossero grandi, uno solo di essi meritò l’appellativo di “Maestro dei maestri”. La memoria di quest’uomo, se di “uomo” si tratta, si perde nella notte dei tempi. Egli è noto come Ermete Trismegisto ed è considerato il padre della scienza occulta, nonché il fondatore dell’astrologia e dell’alchimia.
Non si conosce con esattezza la sua vita, anche se, già da miglialia di anni, diversi paesi si contendano il privilegio di avergli dato i natali.
La sua ultima incarnazione sembra essere avvenuta in Egitto, in una data che risale alle più remote dinastie di quel paese, assai prima della venuta di Mosé. Altre fonti narrano che sia stato contemporaneo di Abramo, di cui forse fu maestro. Secondo la tradizione, la sua esistenza terrena durò trecento anni, poi passò a un altro piano di vita e fu deificato: divenne così il dio Thoth, identificato poi dai greci come Ermete, dio della saggezza.
Per inciso, nell’oriente persiano, secondo Zaratustra (Zarathustra – Zoroastro; tra il XVIII secolo a.C e il XV secolo a.C.) Ahura Mazda era il dio della saggezza, una divinità che troviamo ben oltre 3.000 anni prima in Sumer relativamente a Enki o Ea per i babilonesi.
Gli egiziani lo adorarono per secoli chiamandolo “Scriba degli Dèi” e restituendogli il titolo di “Trismegisto” o “Tre Volte Eccelso” o “Grande dei Grandi”.
Presso ogni popolo, il suo nome fu sinonimo di “Fonte di Saggezza”.