Semiramide: la leggenda.

Semiramide

Nella precedente newsletter ci siamo lasciati con degli interrogativi:
“Cosa nascondeva la leggenda? Semiramide è esistita?”

Ora aggiungiamo:  in caso affermativo, come e perché una donna, anche se regina, ha avuto tanta importanza nello spirito degli Antichi al punto di personificare, da sola, tutta la potenza e la gloria di un impero costruito da una lunga stirpe di re maschi?

Ora  faremo un percorso di ricerca finalizzato a trovare le risposte a queste domande nella consapevolezza che, qualora le trovassimo, esse genereranno nuove domande e il viaggio continuerà. Come sempre!

Le sue origini

Semiramide è nata ad Ascalon, città fondata dai Filistei sulla costa mediterranea del paese al quale hanno lasciato il loro nome: la Palestina, che è il frutto degli amori consapevoli della dea Derceto, patrona di Ascalon, e di un bel giovane anonimo “che andava ad offrirle un sacrificio”. Presa da vergogna nel partorire, Derceto uccide il suo amante, abbandona il figlio “in un luogo deserto e roccioso”, poi si getta nel lago vicino al tempio, dove si trasforma subito in pesce. Fortunatamente, delle colombe, che nidificavano nei dintorni, si prendono cura del bambino, alcune riscaldandolo con le loro ali altre nutrendolo con imbeccate, prima di latte, poi di formaggio, rubate nelle capanne dei bovari. Dopo un certo tempo, i bovari scoprono quella bambina “di una eccelsa bellezza” e l’affidano al capo degli ovili reali, chiamato Simma, che l’alleva con molta cura e le dà il nome di Semiramide, nome che, secondo Diodoro, è una lieve alterazione della parola “colomba “nella lingua dei Siriani”.

(Jean Bottéro, George Roux – L’Oriente Antico)

Quanti si sono accorti della sovrapposizione della figura di Semiramide con quella di Ishtar?

Secondo Berosso, sacerdote di Marduk, il governo di Semiramide in Assiria avvenne dall’ 810 all’807 a.C.
Sebbene alcuni assiriologi abbiano avanzato dei dubbi su questa reggenza, l’ipotesi rimane a dir poco affascinante; così come “affascinante” e “bellissima” sono due aggettivi che si addicono sia a Semiramide che alla Suprema Ishtar.
Certamente si tratta di un’altra interpretazione della leggenda, che non è affatto incompatibile con quella di Semiramide-Sammuramat regina e guerriera, ma le conferisce una dimensione del tutto diversa. Ecco che, pur comportandosi come un essere umano, Semiramide incarnerebbe la maggiore divinità femminile del pantheon assiro, cioè Ishtar di Ninive.
Ishtar è essenzialmente la dea dell’amore, in particolare dell’amore carnale. Legata, certo, alla riproduzione in quanto ispiratrice e partner dell’uomo nell’atto sessuale, essa si distingue nettamente dalla dea-madre, dalla genitrice, che finirà col soppiantare. È la Donna per eccellenza, bella, desiderabile, «che ama il godimento e la gioia, è piena di seduzione, di fascino e di voluttà», come dice un bellissimo inno, ma anche volubile, perfida e soggetta a violente crisi di collera.
Non ha un vero sposo, tal quale a Semiramide, ma amanti, semi-dei, come Dumuzi-Tammuz, o umili mortali, che lei disprezza e presto respinge (Semiramide li fa sparire) mandandoli agli Inferi o trasformandoli in animali ripugnati.
Rappresentata nuda con i seni sostenuti dalle mani, è circondata da ierodule (prostitute sacre) che portano il suo nome (ishtaritu), e i dintorni dei suoi templi, dove si svolgono riti licenziosi, sono frequentati da cortigiane.
Ishtar, però, riveste anche un altro aspetto, all’apparenza radicalmente opposto: è la dea della guerra, «la coraggiosa», «la dama della battaglia e del combattimento», che cammina in testa agli eserciti, vola «come una rondine» al di sopra della mischia, conduce all’attacco e protegge il re che ha saputo meritare i suoi favori.
Questa Ishtar battagliera è rappresentata generalmente in piedi su un leone o su una leonessa, con l’arco in mano, o mentre brandisce il pugnale a lama curva.
La somiglianza tra questa divinità e la nostra Semiramide salta immediatamente agli occhi. È così che, sposando Semiramide, Ninos ha unito strettamente Ishtar a Ninive, città di cui era il regnante, mentre «la porta di Semiramide» a Babilonia, di cui parla Erodoto nelle sue Storie, non può essere altro che la celebre porta di Ishtar.
Non dimentichiamo, poi, che la dea d’Ascalon, Derceto, madre di Semiramide, non è che una variante locale di Atargatis o Astarte, nomi con i quali per lungo tempo si sono adorate in Fenicia come in Siria-Palestina, sia Ishtar, sia dee semitiche dell’Ovest molto vicine a lei, come Athar o Anat.

Questa storia ci ha già portato molto lontano, troppo lontano forse nel campo della fantasia. La nostra sola giustificazione è che…
…più si prende in considerazione quella diavolessa di Semiramide, più lei diventa affascinante!

(cfr.: Jean Bottéro, George Roux – L’Oriente Antico)

Semiramide – anteprima

Semiramide

Cinque sillabe, al tempo stesso dolci e stimolanti, amiche della memoria; un nome che pochi ignorano e che, per lo più, evoca una regina d’Oriente, leggendaria e sensuale, vagamente in rapporto con Babilonia e i suoi “giardini pensili”. Ma quanti nostri contemporanei conoscono la leggenda di Semiramide?
E quanti ricordano lo straordinario successo che essa ebbe durante tutta l’Antichità greco-romana, poi, stritolata e irriconoscibile, dal Rinascimento fino alla metà del XIX secolo?

Cosa nascondeva la leggenda? Semiramide è esistita?

(Jean Bottéro, George Roux – L’Oriente Antico)

(continua nell’invio della prossima newsletter)

San Valentino

Perché il 14 febbraio non sia la solita ricorrenza commerciale!

In questa società moderna in cui la Sophia, l’antichissima Sapienza divina o parte femminile di Dio, è deliberatamente oscurata e ignorantemente considerata profana;

dove ciò che è considerato profano è stato assurdamente convertito in un “nuovo” ed estraneo sacro con lo scopo di governare le masse e condizionare le menti.

In questa società in cui l’attuale sacro è messo al servizio del business senza rispetto o, quanto meno, senza alcuna considerazione delle origini, desidero dare il mio contributo condividendo alcune mie conoscenze che si abbeverano alla fonte delle antiche origini dell’Uomo.

Perché il 14 febbraio sia, come giustamente merita, molto più della solita ricorrenza commerciale…

C’è un luogo, in Italia, dove si incontrano meravigliosamente tre energie di elevato valore significativo:

– Il Drago (nello stemma del Comune) = Conoscenza, Saggezza e Sapienza;

– L’acqua (la Cascata delle Marmore) = la Vita;

– San Valentino (nativo e patrono della città che ne custodisce le spoglie e protettore degli innamorati) = l’Amore;

quindi, è presente la comunione di Conoscenza, Saggezza e Sapienza, la Vita e l’Amore.

Questo luogo è in Umbria, è TERNI.

Una curiosità:

il termine TERNI trae origine dall’antico toponimo Interamna o Interamnia trasmesso attraverso la lingua latina il cui significato è “tra due corsi d’acqua” che, in realtà, come si può evincere dall’immagine qui riprodotta, si tratta di “due fiumi”.

Per la precisione, il nome originale e completo della città risulta essere “Interamna nahar”, dove il termine “nahar” non trova una corrispondenza latina. Tuttavia, tale termine trova più volte riscontro nella Bibbia (cfr. Genesi) laddove indica “fiume” e, per la precisione, in ebraico il termine “nahar” possiede la stessa radice della parola “luce” (nehora).

Il vero fiume quindi è il “fiume di luce”?

E’ una coincidenza che il nome proprio del fiume che attraversa la città di Terni sia “Nera”?

E’ una coincidenza che in lingua accadica “fiume” sia nāru?

E’ una coincidenza che il simil termine di interamna, tra i fiumi, sia “mesopotamia”?

E in fondo… sarà una coincidenza che io, profondamente appassionato delle civiltà mesopotamiche, Sumeri in primis, sia nato proprio a Terni?

Buon San Valentino di tutto cuore.
Biagio Russo

Stemma del Comune di Terni
La Cascata delle Marmore
San Valentino
AD 1640 – Vecchia mappa di Terni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Storie di Ricerca 2

Le Storie di Ricerca alla finestra di Schiavi degli Dei

Nel mio “viaggio verso la conoscenza”, mi sono imbattuto in una moltitudine di documenti antichi, testi apocrifi o testi storici dimenticati.

Tutti molto interessanti, ma non sempre strettamente attinenti allo scopo della mia ricerca sulle origini del genere umano, tanto da essere esclusi dalla composizione del libro “Schiavi degli Dei”.

Tuttavia, sicuro della loro valenza storica, è mia intenzione presentarne alcuni in questa pagina.
Per non appesantirne la lettura, ho suddiviso il documento/racconto in quattro parti.
Qui, al termine della Parte I, troverete la nuova Parte II,  le altre due parti seguiranno prossimamente.

Buona lettura

Chi era Diodoro Siculo

Diodoro Siculo fu uno storico greco antico, nato nel 90 a.C., autore di una monumentale storia universale che prese il nome di “Biblioteca storica”.

Egli, per la redazione della sua opera, raccolse la documentazione necessaria effettuando, tra l’altro, una serie di viaggi “di studio” finalizzati al reperimento di fonti (in primo luogo scritte, ma anche orali) e innanzi tutto (a suo dire) atti ad effettuare delle verifiche autoptiche.

Diodoro Siculo

 

 

 

 

 

 

Di seguito alcuni abstracts. 

Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte I

[…] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa, cercheremo di discorrere sinteticamente, dopo aver esposto prima, con precisione, le ragioni della scoperta.

Giambulo fin da ragazzo aveva coltivato con entusiasmo la propria educazione e dopo la morte del padre, che era mercante, anch’egli si diede alla mercatura; inoltratosi in quella zona dell’Arabia che produce aromi, fu preso con i compagni di viaggio da certi briganti. Ora, dapprima con uno di quelli insieme ai quali era stato catturato fu designato pastore, più tardi, però, fu preda di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.

Costoro vennero rapiti perché appartenevano a un altro popolo, per purificare il paese: infatti, questa era l’usanza degli Etiopi che vi abitavano, tramandata da tempi antichi, e sanzionata da responsi oracolari degli dei, per venti generazioni, seicento anni (essendo una generazione calcolata della durata di trent’anni).

Mentre la purificazione veniva compiuta dai due uomini, era stata costruita per loro una barchetta, proporzionata per dimensioni, forte abbastanza da sopportare le tempeste in mare e che poteva facilmente essere portata a remi da due persone; dopo avervi messo dentro cibo per due uomini sufficiente per sei mesi, e averveli fatti salire, ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.

Dissero loro che sarebbero giunti a un’isola prospera e presso uomini amabili, dove sarebbero vissuti beatamente; ugualmente – affermarono – anche il proprio popolo, se quelli mandati fossero giunti sani e salvi sull’isola, avrebbe goduto per seicento anni di pace e di una vita prospera sotto ogni aspetto; ma se, atterriti dalla vastità del mare aperto, avessero navigato indietro, sarebbero incappati nelle massime punizioni come empi e corruttori dell’intero popolo.

Gli Etiopi, dunque – affermano – tennero una grande adunanza solenne sul mare, e dopo aver compiuto sacrifici magnifici, incoronarono quelli che dovevano cercare l’isola e purificare il loro popolo, e li inviarono via.

Essi, dopo aver navigato per lungo tratto in mare aperto ed essere rimasti esposti per quattro mesi alle tempeste, furono portati all’isola del presagio, che era di forma circolare, e con un perimetro di circa cinquemila stadi.

Ma, quando erano ormai vicini all’isola, alcuni dei nativi, fattisi loro incontro, tirarono a terra lo scafo; gli abitanti dell’isola, accorsi, si meravigliarono del fatto che degli stranieri vi fossero approdati, però si comportarono amabilmente e condivisero con loro quanto di utile offriva il paese.

Gli abitanti dell’isola erano molto diversi da quelli della nostra parte del mondo abitato, per caratteristiche fisiche e per modo di vivere; infatti, erano tutti simili fisicamente, e in altezza superavano i quattro cubiti, però le loro ossa potevano curvarsi fino a un certo punto, e di nuovo raddrizzarsi, come le parti nervose.

Erano, nel fisico, eccezionalmente delicati; tuttavia, molto più vigorosi degli uomini delle nostre parti. Infatti, quando afferravano un oggetto con le mani, nessuno era in grado di toglierlo dalla presa delle loro dita. Non avevano peli assolutamente in nessuna parte del corpo, eccetto che sulla testa e tranne che sopracciglia e ciglia, e ancora, sul mento, mentre le altre parti del corpo erano così glabre che non vi si vedeva la minima peluria.

Erano avvenenti per la loro bellezza, e ben proporzionati nella costituzione fisica. Le aperture delle orecchie erano molto più ampie delle nostre e le parti sporgenti sviluppate in modo da servire da valvole di chiusura.

Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte II

E per quanto riguarda la lingua, avevano una peculiarità, in parte naturalmente congenita, in parte risultato di un’operazione fatta intenzionalmente. Infatti avevano la lingua doppia per un certo tratto, ed essi ne suddividevano ulteriormente la parte interna cosicché la lingua era doppia fino alla radice.

E perciò erano molto versati nei linguaggi, poiché non soltanto imitavano ogni lingua umana articolata, ma anche i vari canti degli uccelli, e in generale riproducevano ogni particolarità dei suoni; ma, cosa più straordinaria di tutte, conversavano perfettamente in contemporanea con due persone che avessero incontrato, rispondendo a domande e discorrendo in modo pertinente delle circostanze del momento; infatti, con una sezione della lingua parlavano con una persona, con l’altra allo stesso modo con la seconda. Il clima era estremamente temperato presso di loro, in quanto abitavano all’equatore, e non soffrivano né caldo né freddo; e i frutti maturavano presso di loro per l’anno intero, come afferma anche il poeta:

«La pera invecchia sulla pera, la mela sulla mela, sull’uva l’uva, il fico sul fico».

Presso di loro il giorno è sempre pari alla notte, e a mezzogiorno presso di loro non c’è ombra per niente, per il fatto che il sole è allo zenith.

Essi vivono divisi in gruppi organizzati politicamente e secondo la parentela, riunendosi i parenti in non più di quattrocento; costoro trascorrono l’esistenza all’aperto, dal momento che il paese possiede molte cose per il loro sostentamento; infatti, per la buona qualità del suolo dell’isola e per la mitezza del clima gli alimenti crescono spontaneamente più che a sufficienza.

Cresce, infatti, presso di loro, in gran quantità una canna, la quale produce un frutto in abbondanza, che ha qualche somiglianza con le veccie bianche. Ora, raccoltolo, lo immergono in acqua calda, finché non raggiunga le dimensioni di un uovo di colombo; quindi lo schiacciano e lo tritano, e con mani esperte plasmano pani, che si mangiano cotti e che sono eccellenti per la loro dolcezza.’

Ci sono anche sorgenti abbondanti, alcune d’acqua calda, ben adatte per farvi il bagno e per togliere la stanchezza, altre d’acqua fredda, eccellenti per la loro dolcezza, che possono giovare alla salute. Presso di loro si cura ogni ramo della conoscenza, soprattutto l’astrologia.

Ed essi usano lettere dell’alfabeto, che sono ventotto di numero secondo il valore dei suoni che rappresentano, ma i segni sono solo sette, ciascuno dei quali si può formare in quattro modi diversi. Scrivono le righe non orizzontalmente, ma dall’alto in basso, su linee rette. Gli uomini sono eccezionalmente longevi, vivendo fino a centocinquant’anni e per lo più senza malattie.

Chi è storpio o, in generale, ha qualche menomazione fisica, lo costringono a togliersi la vita secondo una legge severa. È loro usanza vivere per un numero di anni determinato e, dopo aver compiuto questo periodo di tempo, di propria spontanea volontà si uccidono, dandosi una morte strana. Infatti presso di loro cresce un’erba, per effetto della quale uno, quando vi si metta a giacere sopra, senz’accorgersene, dolcemente, cade addormentato e muore.

(continua)

Storie di Ricerca 1

Le Storie di Ricerca alla finestra di Schiavi degli Dei

Nel mio “viaggio verso la conoscenza”, mi sono imbattuto in una moltitudine di documenti antichi, testi apocrifi o testi storici dimenticati.

Tutti molto interessanti, ma non sempre strettamente attinenti allo scopo della mia ricerca sulle origini del genere umano, tanto da essere esclusi dalla composizione del libro “Schiavi degli Dei”.

Tuttavia, sicuro della loro valenza storica, è mia intenzione presentarne alcuni in questa pagina.
Per non appesantirne la lettura, ho suddiviso il documento/racconto in quattro parti.
Qui troverete la Parte I, le altre tre parti seguiranno prossimamente.

Buona lettura

Chi era Diodoro Siculo

Diodoro Siculo fu uno storico greco antico, nato nel 90 a.C., autore di una monumentale storia universale che prese il nome di “Biblioteca storica”.

Egli, per la redazione della sua opera, raccolse la documentazione necessaria effettuando, tra l’altro, una serie di viaggi “di studio” finalizzati al reperimento di fonti (in primo luogo scritte, ma anche orali) e innanzi tutto (a suo dire) atti ad effettuare delle verifiche autoptiche.

Diodoro Siculo

 

 

 

 

 

 

Di seguito alcuni abstracts. 

Biblioteca storica – Racconto n. 1 – Parte I

[…] “A proposito, invece, dell’isola che è stata scoperta nell’Oceano a meridione, e delle cose straordinarie che si dicono su di essa, cercheremo di discorrere sinteticamente, dopo aver esposto prima, con precisione, le ragioni della scoperta.

Giambulo fin da ragazzo aveva coltivato con entusiasmo la propria educazione e dopo la morte del padre, che era mercante, anch’egli si diede alla mercatura; inoltratosi in quella zona dell’Arabia che produce aromi, fu preso con i compagni di viaggio da certi briganti. Ora, dapprima con uno di quelli insieme ai quali era stato catturato fu designato pastore, più tardi, però, fu preda di certi banditi etiopi con il compagno, e condotto via, alla zona marittima dell’Etiopia.

Costoro vennero rapiti perché appartenevano a un altro popolo, per purificare il paese: infatti, questa era l’usanza degli Etiopi che vi abitavano, tramandata da tempi antichi, e sanzionata da responsi oracolari degli dei, per venti generazioni, seicento anni (essendo una generazione calcolata della durata di trent’anni).

Mentre la purificazione veniva compiuta dai due uomini, era stata costruita per loro una barchetta, proporzionata per dimensioni, forte abbastanza da sopportare le tempeste in mare e che poteva facilmente essere portata a remi da due persone; dopo avervi messo dentro cibo per due uomini sufficiente per sei mesi, e averveli fatti salire, ingiunsero loro di prendere il largo secondo il responso, ordinando loro di navigare verso meridione.

Dissero loro che sarebbero giunti a un’isola prospera e presso uomini amabili, dove sarebbero vissuti beatamente; ugualmente – affermarono – anche il proprio popolo, se quelli mandati fossero giunti sani e salvi sull’isola, avrebbe goduto per seicento anni di pace e di una vita prospera sotto ogni aspetto; ma se, atterriti dalla vastità del mare aperto, avessero navigato indietro, sarebbero incappati nelle massime punizioni come empi e corruttori dell’intero popolo.

Gli Etiopi, dunque – affermano – tennero una grande adunanza solenne sul mare, e dopo aver compiuto sacrifici magnifici, incoronarono quelli che dovevano cercare l’isola e purificare il loro popolo, e li inviarono via.

Essi, dopo aver navigato per lungo tratto in mare aperto ed essere rimasti esposti per quattro mesi alle tempeste, furono portati all’isola del presagio, che era di forma circolare, e con un perimetro di circa cinquemila stadi.

Ma, quando erano ormai vicini all’isola, alcuni dei nativi, fattisi loro incontro, tirarono a terra lo scafo; gli abitanti dell’isola, accorsi, si meravigliarono del fatto che degli stranieri vi fossero approdati, però si comportarono amabilmente e condivisero con loro quanto di utile offriva il paese.

Gli abitanti dell’isola erano molto diversi da quelli della nostra parte del mondo abitato, per caratteristiche fisiche e per modo di vivere; infatti, erano tutti simili fisicamente, e in altezza superavano i quattro cubiti, però le loro ossa potevano curvarsi fino a un certo punto, e di nuovo raddrizzarsi, come le parti nervose.

Erano, nel fisico, eccezionalmente delicati; tuttavia, molto più vigorosi degli uomini delle nostre parti. Infatti, quando afferravano un oggetto con le mani, nessuno era in grado di toglierlo dalla presa delle loro dita. Non avevano peli assolutamente in nessuna parte del corpo, eccetto che sulla testa e tranne che sopracciglia e ciglia, e ancora, sul mento, mentre le altre parti del corpo erano così glabre che non vi si vedeva la minima peluria.

Erano avvenenti per la loro bellezza, e ben proporzionati nella costituzione fisica. Le aperture delle orecchie erano molto più ampie delle nostre e le parti sporgenti sviluppate in modo da servire da valvole di chiusura.

(continua)

 

Nell’antichità si diceva che il Cuore…

Nell’antichità si diceva che il cuore fosse la sede dell’intelligenza proprio perché veniva assimilato alla dimora dell’Intelligenza Universale. La parte finale dei Veda, le Upaniṣad narrano:

« Nel Brahma-Pura, sede di Brahma, vi è un piccolo “loto”, dimora nel quale c’è una piccola cavità, occupata dall’Etere; si deve cercare Ciò che risiede in questo luogo e Lo si riconoscerà…

Questo Principio che sta nel cuore è più piccolo di un chicco di riso, più piccolo di un chicco d’orzo, più piccolo di un chicco di senape, più piccolo di un chicco di miglio, più piccolo di un germe racchiuso in un chicco di miglio; questo Principio che sta nel cuore è anche più grande della Terra, più grande dell’atmosfera, più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi messi assieme. »

A Sumer, la prima busta paga

Un’antichissima tavoletta risalente a ben cinque millenni fa potrebbe rappresentare la prima busta paga scoperta nella storia con un pagamento in birra. Si tratta di un pezzo di argilla preziosissimo in grado di mostrarci uno spaccato della lontanissima cultura mesopotamica di Uruk, una delle più antiche città del mondo. Una serie di disegni molto particolari quello impressi in pochi centimetri di terracotta che raffigurano alcune figure con al fianco una ciotola, un chiaro rimando alla parola “razione” ed un lungo cono, quasi sicuramente un boccale di birra.

Delle linee al lato del disegno indicano la quantità di birra che spettava ad ognuno. Secondo gli esperti il significato sarebbe chiaro: si tratta di alcuni lavoratori a cui spetta un compenso a seconda del lavoro svolto. Insomma un concetto di divisione delle mansioni tra datori di lavoro ed operai che costituirebbe la novità principale di questa antichissima civiltà, ormai lontana dalla condivisione del lavoro promiscuo di caccia ed agricoltura. Uruk è infatti ancora oggi considerata uno delle prime città della storia, fondata dal popolo dei Sumeri nel quarto millennio avanti Cristo.

(cfr.: https://www.scienzenotizie.it/2016/06/29/archeologia-scoperta-prima-busta-paga-con-pagamento-in-birra-0816483)

LA DONNA NELL’ANTICO EGITTO

Vi riporto un brano molto interessante tratto dall’opera Biblioteca storica di Diodoro Siculo*

“Gli Egiziani stabilirono una legge – essi stessi lo dichiarano – contro il costume comune che permetteva agli uomini di sposare le proprie sorelle, conseguenza del successo che ebbe Iside da questo punto di vista in quanto costei, sposata al fratello Osiride, dal momento che dopo la morte di lui aveva giurato che non avrebbe più accettato l’unione con nessun uomo, vendicò l’assassinio del marito e continuò a regnare nell’assoluto rispetto della legge, e insomma divenne causa di moltissime e grandissime cose buone per tutti gli uomini.
Appunto per queste ragioni fu deciso che la regina ottenesse autorità e onori maggiori di quelli del re, e che presso i privati la moglie fosse signora del marito, perché nel contratto dotale lo sposo promette che in tutto obbedirà alla sua sposa.”

* Storico greco di Agirio (Sicilia), vissuto tra l’80 e il 20 a. C.

La ricerca nel profondo del passato

Nell’ambito di un percorso di ricerca che si dirige quanto più possibile nel profondo del passato, è inevitabile, quanto necessario se non indispensabile, fare la conoscenza dei testi più antichi, in ogni ambito che esso sia.

Racconti, cronache o semplicemente testi di letteratura antica che talvolta, per i loro contenuti inspiegabili, incredibili, fuori dal tempo, vengono senza esitazione definiti miti.

Bene. Il Diluvio è uno di questi racconti che, sebbene sacro – per i credenti – perché parte integrante dell’Antico Testamento, è stato laicamente raccontato antico tempo in molte versioni in tutto il mondo e…

Sappiamo tutti che il racconto del castigo di Dio sull’umanità vide come unico superstite Noè, Utnapishtim (per gli Assiro Babilonesi), Ziusudra (per i Sumeri). Ma andò veramente così?

L’Epopea di Gilgamesh dice di no, lo fa con estrema chiarezza; Noè, anzi Utnapishtim, non solo la famiglia fece salire sull’Arca, ma…

[…] tutti gli artigiani feci salire. (XI – 48,88)

Credo che sia abbastanza eloquente.

Riteniamo che sia una superficiale interpretazione o ancora un semplice passaggio allegorico o metaforico? Togliamoci il dubbio!

Personalmente sottopongo alla vostra lettura, in quest’analisi del caso, alcuni brani di un testo di uno scrittore di un’autorevolezza indiscussa, ebreo, di discendenza sacerdotale, nato a Gerusalemme nel 37 circa d.C., tale era Giuseppe Flavio.

I brani in questione sono tratti da una delle sue opere storiche che io ritengo più importante, Antichità Giudaiche.

Eccoli:

“Nell’Armenia, sopra Miniade, c’è un grande monte chiamato Bari ove si dice che al tempo del diluvio si rifugiarono molti e furono salvati, e che un tale, condotto da un’arca, vi approdò sulla cima, e che per lungo tempo si conservarono i resti di quel legno”. (Libro I, 95)

“I figli di Noè erano tre, Sem, Jafeth e Cam, nati cento anni prima del diluvio. Furono i primi a discendere dai monti al piano e stabilirono quivi la loro dimora; gli altri a motivo del diluvio avevano paura, ed erano dispiaciuti nello scendere in pianura, a loro rincresceva discendere dalle altitudini in quel luogo, ma quelli li incoraggiavano a seguire il loro esempio. (Libro I, 109)

 

Il mistero delle origini

Realizzazione grafica di Giulia Giammona, (c) Drakon edizioni, 2010 – su licenza del British Museum.

Mistero, dal greco mystèrion, “cosa segreta”, ma anche dal greco mysticòs, “qualcosa che è stata avvolta nel segreto”, è il sostantivo con cui viene definita gran parte dei fatti della storia umana.

Ma il fatto, quel fatto, in principio, quando vide la luce, quindi “originariamente”, quasi certamente non era ammantato col velo dell’occulto, ma è diventato “misterioso” con lo scorrere del tempo. Perché?

La Storia fortunatamente di questo ce ne ha lasciato ampie prove; è stato modificato, manipolato o falsamente presentato in virtù della necessità di condizionare e gestire situazioni e soggetti per i più disparati fini.

L’antidoto al condizionamento è sulla strada maestra della ricerca delle origini, quelle origini lontane che si raggiungono solo conducendo una rigorosa ed impegnativa opera di eliminazione delle impurità che ne hanno corrotto il significato antico.

L’antidoto è la Conoscenza.

Il fatto qui di seguito trattato riguarda il mistero delle origini, intendendo più in particolare quelle del genere umano.

All’ ipotesi creazionista, propugnata e tenacemente difesa dalle religioni, che per un lungo arco di tempo ha avuto dominio incontrastato sulle menti e sulle coscienze degli uomini, l’‘800 illuminista contrappone l’ipotesi evoluzionista, non senza lacerazioni e questioni scientifiche irrisolte. Il ‘900, in modo particolare nella sua seconda metà, ci ha infine fatto assaporare l’ipotesi forse più affascinante, l’ipotesi che ha saputo coniugare in modo imprevedibile le due ipotesi fino ad allora assolutamente inconciliabili, come da sempre sono fede e scienza. L’acquisita capacità di tradurre le tavolette sumere da parte di sumerologi come Kramer, Jacobsen, ecc., ci hanno fatto scoprire un mondo nuovo, anzi antico, dove personaggi incredibili operavano come super-uomini, dotati di capacità straordinarie di mezzi e di conoscenze, in grado di trasformare la storia ed incidere profondamente nella vita dell’uomo.  Delle divinità, converranno in molti ancora oggi, nel tentativo di darne una definizione appropriata commisurata alla loro capacità e potenza. Oppure potremmo parlare, e oggi si tende a parlarne in maniera quasi esclusiva, di “alieni”, poiché la tecnologia da loro usata, che oggi sappiamo riconoscere, non può che appartenere ad altri mondi
intra-stellari più evoluti, non alla nostra Terra.

Ma le cose stanno davvero così?
È solo questa l’unica possibilità che possiamo percorrere per conoscere le nostre origini?

La preistoria e la storia sono piene di immagini, di reperti, di monumenti che potremmo definire “alieni” sia nel senso di estraneità al contesto a cui si riferiscono che in quello di appartenenza ad una civiltà non terrestre; ce ne sono di evidenti ed altri che lo sono meno. In alcuni casi ciò che è “alieno” risulta invece invisibile, non riscontrabile ad una occhiata superficiale.

Caso emblematico, ma ovviamente non unico, è l’affresco del peccato originale ad opera del grande Michelangelo. Le figure che insieme danno vita al noto episodio biblico del peccato originale, ci regalano, ad una analisi più approfondita, una lettura diversa da quella strettamente canonica. A chi riesce a trovare una nuova chiave di lettura, Michelangelo trasferisce la propria conoscenza ed il proprio pensiero più nascosto.

La figura del serpente, tra le altre, è quella che desta maggiore curiosità per la sua evidente ambiguità.

Così come nel dipinto il serpente pone dubbi alle interpretazioni, anche nel nostro lontano passato e nel corso della storia, il serpente ha mutato pelle e ancor di più ha mutato la sua valenza rappresentativa. Da icona della conoscenza, del benessere fisico e spirituale, diventa, in particolare per opera della dottrina cattolica, simbolo del male e della tentazione.

Ma la ricerca rigorosa, costantemente verificata, ci permette di avere un quadro completamente nuovo ed impensabile proprio su questa figura tanto vituperata. Gli studi condotti attraverso la filologia e la etimologia prossima e remota, ci permettono di comprendere in maniera sorprendente i lasciti testimoniali del popolo sumero. Popolo, questo, mai studiato con la necessaria consapevolezza di trovarsi di fronte alla fonte primaria delle nostre conoscenze scritte. Gli scritti sumerici, senza bisogno di forzature nelle traduzioni, già di per sé straordinariamente eloquenti, sono fonte ineguagliabile a cui attingere per avere “notizie di prima mano” su quello che è stata la vera storia dell’uomo.

La figura del serpente, pertanto, dopo i necessari approfondimenti, vediamo che si intreccia con la storia primeva dell’uomo, e in particolare della donna, scandendo inesorabilmente la sua emancipazione rispetto al suo stato ignoranza e di totale asservimento.

La rivelazione più straordinaria la troviamo quando la figura del serpente si sovrappone alla figura dell’angelo assumendo lo stesso significato letterale, allorquando l’etimologia remota ci permette di risalire ai significati antichi custoditi nelle scritture sumere e ci consente di constatarne la comune origine. Se dunque gli Igigi, divinità minori nel pantheon sumero rispetto ai superiori Anunnaki, coincidono con la figura degli angeli e del serpente, allora tutto diventa chiaro e incredibile al tempo stesso.
Sono queste le figure che hanno sorvegliato il cammino controllato dell’uomo diventandone “custodi” e, nel momento in cui alcuni di essi hanno disatteso tale supremo comando, accelerandone l’evoluzione, sono diventati “i serpenti tentatori” riconducibili, tra l’altro, agli “angeli caduti”.

Ma se non ci fermiamo ad analizzare solo queste figure e prendiamo in esame anche gli Anunnaki, le figure di rango superiore, abbiamo il quadro completo delle conoscenze che ci rimandano i sumeri. E le traduzioni letterali ci portano a considerare queste ultime divinità come “della terra”, di origine terrestre, quindi.

Il decidere di non fermarsi davanti alle evidenze superficiali, ma scavare in ogni direzione di ricerca, conduce inevitabilmente a raffinare le nostre conoscenze, a mettere in discussione anche affermazioni già accettate e apparentemente indiscutibili.

In tutti gli ambiti di studio, e in particolar in questo così delicato, poiché coinvolge così profondamente il nostro comune sentire, avere materiale su cui impostare nuove discussioni e nuovi ragionamenti non potrà che essere di vantaggio per tutti. Il contributo alla conoscenza, quindi, allarga la possibilità di comprensione a tutti gli uomini di buona volontà, e tanto maggiore è la nostra conoscenza tanto minore sarà la possibilità di essere vittime di ogni sorta di manipolazione.

© Biagio Russo